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Germania, gli indici PMI mostrano rallentamento dell’economia: quali conseguenze per l’Eurozona? 

Germania, gli indici PMI mostrano rallentamento dell’economia: quali conseguenze per l’Eurozona? 

K metro 0 – Berlino – Gli ultimi dati disponibili sull’andamento dell’economia tedesca mostrano un rallentamento della “Locomotiva d’Europa”: che, se non prelude a una recessione, può avere però ricadute negative su tutte le economie dell’Eurozona (rischio, quest’ultimo, paventato recentemente dallo stesso governatore di BCE, Mario Draghi). L’indice Markit’s Purchasing Manager’s Index (PMI) del settore

K metro 0 – Berlino – Gli ultimi dati disponibili sull’andamento dell’economia tedesca mostrano un rallentamento della “Locomotiva d’Europa”: che, se non prelude a una recessione, può avere però ricadute negative su tutte le economie dell’Eurozona (rischio, quest’ultimo, paventato recentemente dallo stesso governatore di BCE, Mario Draghi). L’indice Markit’s Purchasing Manager’s Index (PMI) del settore manifatturiero tedesco (settore che, complessivamente, esprime ben 1/5 dell’economia germanica), che a marzo scorso era previsto in rialzo a 48, è sceso invece – informa la Reuter’s – di ben 3 punti, dal 47, 6 di febbraio al 44,7 di marzo, al livello più basso da oltre 6 anni (un livello inferiore al 50, ricordano gli economisti, separa proprio la crescita economica dalla contrazione). L’indice composito, a sua volta, è sceso, sempre a marzo, a 51,5 (dopo il 52,8 di febbraio), e quello relativo al terziario (servizi anzitutto) a 54,9 dal 55,3 di due mesi fa: dati, questi, rilevati tutti tra gli ultimissimi giorni di marzo e lunedì primo aprile. Alla base di questa contrazione dell’economia germanica (nella quale, però, in complesso, resta salda la domanda interna), vari fattori: dalle convulsioni della Brexit, con le conseguenti incertezze commerciali un po’ in tutta Europa, alle tensioni USA-Cina, dalla crisi dell’industria tedesca dell’auto (già evidente da 3 anni circa) a un rallentamento generale della domanda mondiale di beni e servizi.

Scendendo maggiormente nei dettagli dell’economia teutonica, gli economisti di Ihs Markit’s evidenziano specialmente come i flussi di nuovi ordini per le aziende (da sempre, in tutto il mondo, indicatore essenziale dello stato dell’economia) sono per il terzo mese consecutivo in calo: “largamente dovuto al crollo della domanda per l’export, calata, per il settimo mese consecutivo, al tasso più rapido dall’agosto 2012”. I manager di varie aziende intervistati da Ihs per le sue periodiche rilevazioni hanno riferito di aver registrato un “ritardo nelle decisioni di investimento dei clienti per le numerose incertezze, oltre che una persistente debolezza del comparto auto”. Inoltre – riferiscono sempre fonti Markit’s – “il portafoglio di ordini arretrati è calato al ritmo più rapido degli ultimi dieci anni, mentre per la prima volta da molti mesi anche le nuove assunzioni di personale sono diminuite”. Per quest’ultimo dato, però, non va dimenticato che le ultime rilevazioni hanno toccato settori dove un grande numero di contatti di lavoro a termine sta attendendo proprio ora il rinnovo: e proprio la buona tenuta complessiva dell’occupazione, anzi in alcuni comparti, anche aumentata) è stata l’unico risultato veramente brillante del primo trimestre 2019.

Sono, quindi, i diminuiti flussi di ordinazioni per le aziende e il calo delle esportazioni (che potrebbe essere combattuto con una classica manovra di svalutazione del marco, resa però impossibile sia dai parametri di Bruxelles, che da precise ragioni politiche, care a frau Merkel), le voci negative che saltano immediatamente agli occhi nel quadro dell’economia tedesca: che, l’anno scorso, aveva gia’ registrato il suo tasso di crescita più basso in 5 anni.

Ma quali sono i primi effetti del rallentamento tedesco sulle economie dell’Eurozona? Sempre l’indice composito PMI relativo all’insieme delle aziende dell’area euro ha segnato, a marzo, un calo a 51,3 punti (dai 51,9 di febbraio): il valore più basso da due mesi. Ma l’indice specifico per le imprese del manifatturiero (con un trend, a ben vedere, esattamente analogo a quello registrato nella singola economia tedesca) segna un calo ancora maggiore: dai 49,3 punti di febbraio 2019 ai 47,6 punti di marzo.

“L’economia dell’Eurozona conferma il suo periodo di difficoltà”, ha sottolineato, già alcuni giorni fa, Chris Williamson, Chief Business Economist di Ihs Markit’s. Tutti questi dati, ha spiegato sempre l’esperto, indicano una probabile espansione congiunturale del PIL dell’Eurozona, nel primo trimestre. “di un modesto 0,2%: con la contrazione dello 0,5% della produzione manifatturiera controbilanciata da un’approssimativa espansione dello 0,3% del terziario”. Infine, ha avvertito Williamson, “gli indici che anticipano le tendenze, quali quello dell’ottimismo degli operatori e del lavoro inevaso da parte delle aziende, suggeriscono che nel secondo trimestre la crescita potrebbe indebolirsi ancora di più”.

Nell’Eurozona, dunque, sembra che la ripresa registrata a febbraio scorso, abbia già perso il suo slancio. A destare la preoccupazione maggiore è la condizione del settore manifatturiero: che ora ha raggiunto la contrazione maggiore dal 2013, e che sta inevitabilmente iniziando a risentire sia del “contagio” da parte dell’economia tedesca che dei fattori di incertezza aleggianti sull’ Europa. Non ultimo, una certa preoccupazione di molti operatori della UE per le notizie riguardanti i Paesi ex-comunisti: le sanzioni contro la Russia, rinnovate semestralmente dai Paesi dell’Unione, si risentono negativamente anche per molte aziende europee da sempre attive sul fronte import-export, mentre le tensioni tra Russia e Ucraina, con lo spettro di possibili escalation, generano ansia in molti operatori di primo piano.

 

di Fabrizio Federici

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