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Germania, aumenti consistenti degli stipendi pubblici: ma nelle altre amministrazioni pubbliche UE?

Germania, aumenti consistenti degli stipendi pubblici: ma nelle altre amministrazioni pubbliche UE?

K metro 0 – Berlino – Dalla Germania arrivano notizie positive sull’economia tedesca, che in buona parte smentiscono le stime negative fatte a fine 2018, dalla Bundesbank e dalle associazioni dei datori di lavoro: la disoccupazione, infatti, è ai minimi storici dai tempi della riunificazione, gli occupati risultano oltre 45 milioni e addirittura c’è una domanda

K metro 0 – Berlino – Dalla Germania arrivano notizie positive sull’economia tedesca, che in buona parte smentiscono le stime negative fatte a fine 2018, dalla Bundesbank e dalle associazioni dei datori di lavoro: la disoccupazione, infatti, è ai minimi storici dai tempi della riunificazione, gli occupati risultano oltre 45 milioni e addirittura c’è una domanda di lavoro, pari ad 1,46 milioni di posti di lavoro, cui non si riesce a rispondere. Ad ulteriore conferma sia dello stato di salute dell’economia che della rinnovata efficienza amministrativa teutonica, dopo l’eliminazione (con la “cura Schroeder” dei primi anni Duemila) di sprechi ed eccessi di garantismo del Welfare nazionale, arriva ora la notizia del generale aumento salariale raggiunto dai dipendenti pubblici dei 15 Lander (Assia esclusa). Con risultati anche superiori alle aspettative, i sindacati tedeschi sono riusciti ad ottenere – per 800.000 lavoratori pubblici, con successiva estensione ad altri 1,1 milioni – un CCNL che prevede – con retroattività dal 1° gennaio scorso – un aumento di salario dell’8%, distribuito in 33 mesi e comunque mai inferiore ai 240 euro di incremento complessivo.

La novità arriva proprio mentre si rallenta la crescita complessiva del PIL nazionale: su cui, ha richiamato l’attenzione il governatore di BCE Mario Draghi, paventando appunto un “effetto domino” di questo calo – legato, a sua volta, specialmente alla crisi dell’industria automobilistica tedesca – sulle altre economie UE. Nell’ Eurozona, ha precisato Draghi, comunque “le probabilità di una recessione restano molto basse”: ricordando che, se sono state ribassate le stime di crescita dei vari PIL per il 2019, lo sono state anche quelle sulla crescita dell’inflazione. Le casse pubbliche tedesche, comunque (non tanto federali, quanto dei vari Lander), sono state adeguatamente rimpinguate soprattutto negli anni precedenti la crisi economica mondiale del 2008-2009: e proprio a una “ricetta tedesca” sembra alludere sempre la BCE, quando ricorda che, per evitare aumenti patologici dell’inflazione, in tutti i Paesi dell’ Eurozona occorrono non solo politiche di espansione economica e adeguate misure di politica monetaria, ma anche “una piu’ vigorosa dinamica salariale”, comprendente il pubblico impiego.

Ma a proposito del pubblico impiego, qual è il peso effettivo dell’amministrazione pubblica (dai liberisti ritenuta sbrigativamente pletorica e improduttiva) nei vari Paesi europei?

“I paragoni tra gli Stati membri in materia di pubblica amministrazione sono delicati”, osserva una nota dell’istituto di ricerca francese “France Stratégie”: commentando proprio una ricerca comparata sulla materia svolta, a fine 2018, dopo un anno che aveva visto forti proteste dei lavoratori pubblici contro la riforma della Pubblica amministrazione varata dal Governo.

Utilizzando diversi parametri, la ricerca francese – cui è opportuno accostare anche studi recenti dell’OCSE e di Eurostat, l’Ufficio statistiche dell’Unione Europea – delinea un quadro completo delle Pubbliche amministrazioni dei Paesi UE. Per individuare anzitutto le dimensioni degli apparati pubblici nel complessivo sistema produttivo di ogni Paese, il sistema più semplice, ovviamente, è individuare la percentuale di dipendenti lavoranti per le Pubbliche amministrazioni, rispetto al totale nazionale degli occupati.

La media UE dei dipendenti pubblici (sia dello Stato che degli enti locali, con forti differenze interne tra un Paese e l’altro) è il 16% del totale degli occupati: ai livelli più bassi si trovano proprio Germania (10%, dopo la “cura dimagrante” voluta, nei primi anni Duemila, dal governo socialdemocratico di Gerhard Schroeder), Olanda (con il 12%, legato in gran parte alla contrazione complessiva del Welfare olandese decisa dal Governo, dopo decenni di spesa pubblica ipertrofica( nel 2014) e Lussemburgo (12%). L’ Italia – con tanti saluti alle polemiche, spesso pretestuose, sugli statali “fannulloni” – si trova solo al 14%: il dato conferma che i nostri dipendenti pubblici, in realtà, sono anche pochi, rispetto alle effettive esigenze amministrative di uno Stato moderno, e soprattutto presente in tanti essenziali settori della vita pubblica.

Nella UE, infine, le dinamiche salariali, con l’eccezione dei Paesi scandinavi (da sempre caratterizzati da stipendi dei dipendenti pubblici più alti rispetto alla media degli altri Paesi europei, senz’altro in linea col costo della vita, considerevolmente più alto), sono abbastanza analoghe, tra un Paese e l’altro. Gli stipendi dei dipendenti pubblici italiani (che solo ora stanno recuperando, dopo quasi 10 anni di blocco legato al contenimento complessivo della spesa pubblica) non sono, oggi, così inferiori rispetto alla media dei partner europei. Mentre grave eccezione è rappresentata dalla Grecia: dove le politiche di forte austerità decise a Bruxelles e accettate, pochi anni fa, dal governo Tsipras, portarono nell’immediato, a un taglio del 7%, in media, degli stipendi dei pubblici dipendenti.

Prima di tuonare contro sprechi, mala gestione, aree di corruzione nelle Pubbliche amministrazioni, in sostanza, occorre valutare parecchi indicatori. Per questo risulta ampiamente condivisibile la riflessione finale degli autori del citato studio francese: “Molte delle differenze emerse in merito al pubblico impiego sono dovute, di fatto, a scelte di gestione, piuttosto che a una diversa qualità nelle prestazioni”.

 

 

di Fabrizio Federici

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