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Caso Siria: avvocati per i diritti umani chiedono alla CPI un’indagine preliminare sulle deportazioni.

Caso Siria: avvocati per i diritti umani chiedono alla CPI un’indagine preliminare sulle deportazioni.

K metro 0 – Aja – Nel tentativo di frenare il regime del presidente Bashar Assad, responsabile delle atrocità commesse durante la sanguinosa guerra civile del paese, alcuni avvocati per i diritti umani stanno costantemente sollecitando la Corte Penale Internazionale ad aprire un’indagine preliminare sulle presunte deportazioni, ad opera delle autorità siriane. Uno dei legali

K metro 0 – Aja – Nel tentativo di frenare il regime del presidente Bashar Assad, responsabile delle atrocità commesse durante la sanguinosa guerra civile del paese, alcuni avvocati per i diritti umani stanno costantemente sollecitando la Corte Penale Internazionale ad aprire un’indagine preliminare sulle presunte deportazioni, ad opera delle autorità siriane.

Uno dei legali in questione, l’avvocato Toby Cadman, ha detto ieri che esperti gli legali presso il Centro di giustizia internazionale di Guernica sostengono che vi sia un precedente, stabilito lo scorso anno in un caso riguardante la questione Rohingya in Myanmar, che può essere utilizzato per conferire alla giurisdizione della corte dell’Aja almeno una parte delle violazioni derivanti del devastante conflitto siriano.

L’ostacolo principale dipende da elementi intrinseci al caso: la CPI, secondo lo Statuto di Roma entrato in vigore nel 2002, non ha giurisdizione sui crimini commessi in Siria, per il semplice fatto che il paese non è tra i 123 membri del Tribunale, non avendone ratificato lo statuto.

Ciò significa che numerose accuse di atrocità commesse durante il conflitto non sono state perseguite nel primo tribunale penale permanente del mondo. L’esperto di diritto internazionale Cadman, però, non ci sta e insieme ai colleghi vuole che il corso delle cose cambi.

Il gruppo di avvocati ha consegnato un fascicolo ai pubblici ministeri questa settimana sostenendo che la corte potrebbe esercitare la giurisdizione sui civili siriani costretti a entrare in Giordania, che è un membro del tribunale. In un’intervista telefonica, Cadman ha affermato che il caso Rohingya potrebbe essere replicato per la Siria: nonostante il Myanmar non sia un membro del tribunale, il Bangladesh lo è. E, stando alla sentenza rivoluzionaria dello scorso anno, i giudici della CPI hanno affermato che, poiché i musulmani Rohingya sono stati cacciati dal Myanmar in Bangladesh, la corte era competente. “Lo stesso principio dovrebbe applicarsi alla Siria e alla Giordania”, ha detto Cadman.

Continuando, l’avvocato Cadman, che si è fatto portavoce del gruppo, ha detto che le atrocità commesse dalle forze governative in Siria hanno costretto circa un milione di civili a fuggire in Giordania, e la minaccia di ulteriori maltrattamenti, qualora tornassero indietro, impedisce loro di tornare a casa.

Essendo una Corte di ultima istanza, la CPI può entrare in azione solo se gli Stati e le autorità nazionali del caso non possono o non vogliono intervenire; ma in una risposta scritta, l’ufficio del procuratore della CPI ha confermato di aver ricevuto il deposito e ha dichiarato che analizzerà il materiale. “Non appena raggiungeremo una decisione sul prossimo passo più appropriato, informeremo il mittente e forniremo le ragioni della nostra decisione”, ha dichiarato l’ufficio.

L’idea di un cambiamento funzionale delle dinamiche della Corte era comunque già nel’aria. Negli ultimi anni, infatti, la CPI e il suo Procuratore capo Fatou Bensouda hanno affrontato critiche dopo una serie di fallimenti. Perseguire i crimini in Siria potrebbe aiutare a ripristinare la fiducia nella corte e nel suo pubblico ministero, secondo Cadman: “Penso che questa sia un’opportunità per lei di stabilire realmente la credibilità del suo ufficio”.

di Tosca Di Caccamo

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