K metro 0 – El Alto, Bolivia – Il ring della lotta libera in Bolivia è tutto al femminile e la nuova generazione di wrestler combatte con cappelli e gonne. Le donne del wrestling boliviano si chiamano cholitas e rappresentano uno dei simboli del paese. Il termine deriva da un diminutivo della lingua indigena aymara
K metro 0 – El Alto, Bolivia – Il ring della lotta libera in Bolivia è tutto al femminile e la nuova generazione di wrestler combatte con cappelli e gonne.
Le donne del wrestling boliviano si chiamano cholitas e rappresentano uno dei simboli del paese. Il termine deriva da un diminutivo della lingua indigena aymara che significa “meticcio” e si riferisce alla donna che veste i tradizionali abiti della cultura aymara: ampie gonne colorate, eleganti bombette, uno scialle legato all’altezza del petto, una blusa e lunghe trecce nere, a cui spesso si aggiungono dei prolungamenti decorativi per rendere la pettinatura più appariscente. Questo tipo di sport, conosciuto con il nome inglese catchascan, derivato probabilmente da un tipo di lotta libera nata in Messico negli anni Trenta, ha attirato per molti anni turisti e fotografi di tutto il mondo, creando così un senso di orgoglio tra le donne indigene. La lotta libera rappresenta, infatti, una sorta di riscatto per coloro che per molto tempo sono state discriminate a causa delle loro origini e del loro vestiario. Per decenni il termine cholitas è stato utilizzato in maniera offensiva dalle classi dirigenti bianche del paese per indicare le ragazze di tradizione indigena, a cui non era permesso ricoprire nessun ruolo rilevante nella società, ma essere solo bambinaie, donne delle pulizie, cuoche o commercianti di mercato.
È negli anni Ottanta che la condizione di queste donne inizia a cambiare, quando viene concesso loro di esercitare professioni in ambito politico, sportivo e della comunicazione. Con l’arrivo al potere di Evo Morales nel 2006, inoltre, alle cholitas viene data maggiormente importanza: il primo presidente indigeno del paese le descrive come il punto fermo delle comunità tradizionali andine. Lo stile della cultura aymara si è persino imposto nelle sfilate di moda, tanto che alcuni stilisti si sono ispirati agli abiti tradizionali per lanciare una nuova tendenza.
Le atlete boliviane grazie a questo stile colorato e appariscente stanno riscuotendo molto successo. A stupire è, soprattutto, la loro energia: leggiadre sì, ma con una forza fisica pari a quella dei colleghi uomini. Le wrestler in polleras (il nome tipico della gonna indossata anche sul ring) vogliono rivendicare l’uguaglianza di genere e appropriarsi di uno spazio che solitamente è rivolto agli uomini. Tatiana Monasterios, del dipartimento del turismo di El Alto, ha dichiarato che “questi spettacoli rivendicano anche il ruolo della donna aymara, che si dimostra intraprendente e capace di prendere parte a uno sport così rischioso”.
Tra le più famose wrestler vi è Reyna Torrez, con il nome di ring Leydi Huanca, le cui mosse si sono spesso ispirate ai lottatori messicani come Rey Mysterio. Ora, all’età di 29 anni, non combatte più e si dedica ad allenare le future emergenti del ring, tra i 16 e 19 anni, nella speranza di mantenere vivo questo sport. “Adoro i salti di Reyna ed è un sogno che ci alleni” ha detto la diciassettenne Nieves Laura Tarqui, che combatte come Nelly Pankarita, un cognome che significa “Piccolo fiore” in lingua aymara. Per diventare atlete affermate e debuttare da professioniste c’è bisogno di anni di preparazione. “È difficile lottare. Hai bisogno di molto coraggio, forza e allenamento per farlo bene. Cadiamo e ci facciamo male, ma non importa perché il pubblico si diverte” spiega Noelia Gonzalez, di diciannove anni e conosciuta come Natalia Pepita.
La preparazione all’incontro sembra quasi la preparazione ad una festa: le avversarie si truccano, si spruzzano il profumo e, dopo una sbirciata allo specchio, salgono sul ring ballando al ritmo di una musica folcloristica.
In Bolivia sono tre le scuole in cui viene praticato questo sport e le giovani donne che le frequentano sono circa 50, altre invece si allenano presso l’istituto Independent Wrestlers of Enormous Risk. Benjamin Simonini, direttore della scuola nella città di El Alto, che ha visto un boom negli ultimi anni e dove i combattimenti sono diventati un’attrazione turistica, ha detto che “il tempo sta passando e bisogna fare spazio alla nuova generazione”.
Il wrestling in questo paese è considerato un mestiere come un altro: dà successo e indipendenza economica. È proprio su questo punto che si sofferma il corto Las Cholitas Luchadoras, in cui la protagonista Leonor Cordova, nome di battaglia Angela La simpatica, racconta la doppia vita di madre e wrestler.
La lotta libera è stata dunque sdoganata e pensare che ciò sia avvenuto ad opera di una categoria in passato non considerata fa ben intendere la forza di volontà delle cholitas. Nel 2013 il governo locale di La Paz le ha dichiarate “patrimonio culturale” della città.
di Mara di Fuccia