K metro 0 – Londra – Theresa May ha quindici giorni di tempo per negoziare un nuovo accordo con l’Unione europea, dalla quale Londra potrebbe non più uscire il 29 marzo, data fissata per la Brexit, poiché da oggi l’opzione del rinvio è formalmente e prepotentemente sul tavolo. La Camera dei Comuni ha approvato l’emendamento della
K metro 0 – Londra – Theresa May ha quindici giorni di tempo per negoziare un nuovo accordo con l’Unione europea, dalla quale Londra potrebbe non più uscire il 29 marzo, data fissata per la Brexit, poiché da oggi l’opzione del rinvio è formalmente e prepotentemente sul tavolo. La Camera dei Comuni ha approvato l’emendamento della laburista Yvette Cooper e del Tory Oliver Letwin, che inchioda la premier britannica agli impegni annunciati ieri nell’ambito della sua nuova strategia. Questa prevede la possibilità di un voto a Westminster il 14 marzo sull’estensione dell’articolo 50 (rimandando la data del divorzio oltre il 29 marzo), nel caso il governo non ottenesse la maggioranza parlamentare per ratificare l’accordo con Bruxelles che May spera ancora di ottenere. L’emendamento è stato approvato a stragrande maggioranza, 502 voti favorevoli e 20 contrari, mostrando una spaccatura anche tra i 50 brexiters più duri. L’ipotesi di un rinvio trova Bruxelles disponibile, seppur perplessa; molto meno, quella di un nuovo negoziato. Lo hanno chiarito, ancora una volta Angela Merkel e Emmanuel Macron: “La Brexit non si rinegozia”, hanno detto il presidente francese e la cancelliera tedescoa, impegnati in un colloquio a Parigi, sottolineando che Londra deve mostrare “una visione chiara e un progetto concreto” per “un’uscita ordinata”.
A sua volta, il capo negoziatore dell’Ue per Brexit, Michel Barnier, ha aperto a un eventuale rinvio del divorzio di Bruxelles ma chiede ai britannici di “spiegare a cosa servirà lo slittamento”. Barnier ha spiegato che “se ci sarà una richiesta di estensione” del periodo di negoziato “dovrà essere validata all’unanimità dai Paesi Ue” e “la questione che sarà immediatamente posta è a che cosa servirà questo rinvio?”. La strategia di May – elaborata sotto la pressione di minacciate dimissioni di massa da parte dei suoi ministri più europeisti – prevede che, in caso di bocciatura in Parlamento il 12 marzo dell’intesa con Bruxelles, il giorno dopo metterà ai voti un’uscita senza accordo. In caso di ulteriore bocciatura, due giorni dopo si voterà su un rinvio. L’opposizione, invece, lavora a un nuovo referendum. La Camera dei Comuni, infatti, ha bocciato l’emendamento dei laburisti che proponeva un piano Brexit alternativo. Il capo del Labour, Jeremy Corbyn, nei giorni scorsi aveva infatti dichiarato che se non fosse passato l’emendamento per un piano B si sarebbe impegnato in un nuovo voto popolare per evitare un no-deal o una Brexit dannosa per il Paese. Infine, tra gli emendamenti approvati dal Parlamento vi è quello del conservatore Alberto Costa, di origini italiane, che chiedeva l’applicazione della parte dell’accordo con l’Ue legata alla tutela dei diritti dei cittadini europei nel Regno Unito e di quelli dei britannici nella Ue anche in caso di no-deal.
Il Partito Laburista dunque intende presentare un emendamento in favore di un secondo referendum sulla Brexit in contemporanea col nuovo voto di ratifica sull’accordo di divorzio con l’Ue annunciato dal governo Tory di Theresa May per il 12 marzo, salvo anticipi: lo ha confermato oggi a Itv John McDonnell, numero 2 e cancelliere dello Scacchiere nel gabinetto ombra di Jeremy Corbyn. L’indicazione – dopo la svolta annunciata al riguardo dalla leadership del Labour lunedì scorso – era stata ribadita del resto già ieri sera dallo stesso Corbyn, dopo la bocciatura alla Camera dei Comuni del suo piano B per una Brexit super soft (con permanenza del Regno Unito nell’Unione doganale) presentata come prima opzione dal maggior partito d’opposizione. Un’opzione che il leader spera ancora di recuperare, ma che intanto dovrebbe cedere il passo alla prossima mossa sul referendum bis: su cui McDonnell si dice ora convinto possa essere trovata una “maggioranza” a Westminster nonostante il corteggiamento dei laburisti dissidenti da parte di Downing Street. L’ipotesi della rivincita referendaria, che Corbyn afferma essere preferibile sia a un no deal sia a una “devastante Brexit di marca Tory”, al momento divide in effetti anche il Labour: con un centinaio di deputati su circa 250 nettamente favorevoli, altrettanti incerti o cauti e qualche decina (eletti nei collegi di tradizione operaia euroscettica delle Midlands, del nord Inghilterra e del Galles) decisamente contrari. Una situazione destinata a far mancare i numeri all’emendamento, malgrado gli auspici di McDonnell, se non vi saranno cambiamenti. Tanto più che la May conta di tirare dalla sua parte i deputati laburisti meno anti-Brexit offrendo loro la settimana prossima l’approvazione d’una mozione concordata con loro che garantisca per iscritto l’impegno a tutelare i diritti dei lavoratori nel Regno anche dopo l’uscita dall’Ue.