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Spagna. Il ruolo di mediazione della Chiesa nella crisi catalana

Spagna. Il ruolo di mediazione della Chiesa nella crisi catalana

K metro 0 – Madrid – Mentre il dibattito sulla crisi in Venezuela veniva posto in primo piano da giornali e televisioni, Esquerra Republicana de Catalunya (il partito indipendentista catalano) stava approvando un emendamento per respingere la Finanziaria, l’accordo di sinistra che permetterebbe al presidente Sánchez di non andare a elezioni anticipate. Poche ore dopo,

K metro 0 – Madrid – Mentre il dibattito sulla crisi in Venezuela veniva posto in primo piano da giornali e televisioni, Esquerra Republicana de Catalunya (il partito indipendentista catalano) stava approvando un emendamento per respingere la Finanziaria, l’accordo di sinistra che permetterebbe al presidente Sánchez di non andare a elezioni anticipate. Poche ore dopo, giovedì scorso, nel tentativo di ottenere l’appoggio degli indipendentisti per la legge di bilancio, il Senato ha annunciato l’approvazione del governo per la presenza di un mediatore negli incontri multipartitici (a cui i partiti di destra si sono rifiutati di partecipare) per il dialogo sulla crisi catalana. Venerdì mattina, comunque, dopo che entrambi i partiti indipendentisti del parlamento spagnolo hanno criticato la presenza di questa figura, chiedendo una mediazione internazionale, il governo ha concluso il dialogo con gli indipendentisti catalani.

L’intermediario che dovrebbe agire da semplice notaio, secondo il vicepresidente Carmen Calvo, è stato visto dai partiti nazionalisti di destra (Partido Popular, Ciudadanos e Vox) come il mediatore che i catalani hanno sempre richiesto: le richieste di mediazione e dialogo sono state costanti da quando è iniziata la crisi. Uno degli attori coinvolti per ristabilire il dialogo è stata la Chiesa Cattolica.

Il ruolo della Chiesa è stato sempre importante per la storia catalana. I vescovi della Catalogna si sono sempre rifiutati di seguire la linea ufficiale della Conferenza Episcopale Spagnola (particolarmente conservativa) e anche durante la guerra civile (1936-1939) hanno deciso di allearsi con le forze nazionaliste catalane, mentre il clero spagnolo aveva pubblicamente supportato il colpo di stato, da cui è scaturita poi la guerra. Durante la dittatura del Generale Franco (1939-1975), la lingua catalana era stata proibita in pubblico, ma i sacerdoti catalani dopo il Concilio Vaticano II la ufficializzarono. Il Monastero di Montserrat, il più importante tempio cattolico in Catalogna, fu allora l’epicentro delle dimostrazioni contro la dittatura, in cui si riunirono cittadini liberali, conservatori, nazionalisti e comunisti. Coloro che volevano rovesciare il regime, a Montserrat avevano un posto in cui nascondersi.

A Montserrat si sono concentrate le principali forze che hanno guidato il futuro politico della Catalogna: il nazionalismo liberal-conservatore di Jordi Pujol, presidente della Catalogna dal 1980 al 2003 con la Congregazione di Catalogna, partito ribattezzato come PDeCAT che oggi detiene la presidenza della Catalogna con Quim Torra; il comunismo catalano del PSUC, che dallo scoppio della guerra civile ha iniziato ad agire separatamente dai comunisti spagnoli; e il socialismo catalano del PSC, associato al Partito Socialista Spagnolo, che ha governato in Catalogna dal 2003 al 2010 (e ha promosso l’Euroregione Pirenei-Mediterraneo).

Da quella convergenza strategica contro Franco durante gli ultimi anni della dittatura, nacque a Montserrat una sorta di “consenso” catalano (simile al “compromesso storico” dell’Italia). Questo consenso non ha mai agito come una coalizione di governo, ma ha comunque aiutato a sviluppare le base istituzionali della Catalogna e la sua costituzione regionale (Estatut de Catalunya) durante i primi anni della democrazia negli anni ’80.

Questo consenso informale nato dopo anni di lotta antifranchista sotto le mura del Monastero di Montserrat, sembra essersi distrutto dopo il conflitto indipendentista degli ultimi anni. Mentre i nazionalisti hanno deciso di diventare indipendentisti, il PSC ha rifiutato qualsiasi tipo di nazionalismo e i comunisti (rinominati Catalunya en Comú) hanno chiesto un referendum che non è mai arrivato. Il fondamentale consenso democratico (protezione della lingua catalana, unione tra coloro che sono nati in Catalogna e quelli spagnoli che sono arrivati lì per lavorare – idea di un unico popolo, “un sol poble” – la difesa e l’espansione autogoverno catalano attraverso la costituzione regionale) è stato dimenticato nella lotta dell’indipendenza contro l’unionismo.

In questo contesto, con quasi tutti i ponti spezzati, la chiesa catalana si appella costantemente al dialogo. L’arcivescovo di Barcellona (Omella) e l’abate di Montserrat (Soler) si sono offerti come possibili mediatori nella crisi e, dopo forti e varie pressioni, anche il Papa ha sottolineato che la crisi catalana dovrebbe essere risolta attraverso un processo di dialogo con l’aiuto della Chiesa Catalana.

Si dice comunemente che durante il periodo di crisi si formano strane alleanze. L’alleanza storica tra la chiesa catalana, il nazionalismo liberista-conservatore e le forze di sinistra catalane è stato un asse di potere senza precedenti che ha aperto la strada all’attuale quadro istituzionale in Catalogna, che ha avuto successo per decenni. Per il periodo di crisi in cui viviamo oggi, sono necessarie nuove e solide alleanze. La domanda è: la Chiesa catalana conserva ancora la sua autorità o credibilità che le permetterebbe di agire da elemento unificante e che ha contribuito diverse anni fa a unire così tante persone?

di David Rodas Martín.

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