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Il “fattore Trump” e i rischi di cortocircuito sull’area siriana (e dintorni)

Il “fattore Trump” e i rischi di cortocircuito sull’area siriana (e dintorni)

K metro 0 – Medio Oriente – L’annuncio improvviso del presidente Trump sull’imminente ritiro degli Stati Uniti dalla Siria ha non solo portato alle dimissioni del segretario alla Difesa James Mattis, ma ha spinto i curdi a chiedere la protezione del regime siriano contro i turchi. Alla prova dei fatti, il ritiro delle truppe a

K metro 0 – Medio Oriente – L’annuncio improvviso del presidente Trump sull’imminente ritiro degli Stati Uniti dalla Siria ha non solo portato alle dimissioni del segretario alla Difesa James Mattis, ma ha spinto i curdi a chiedere la protezione del regime siriano contro i turchi. Alla prova dei fatti, il ritiro delle truppe a stelle e strisce sembrerebbe essere sempre meno imminente di quanto si fosse voluto far apparire perché’ “militarmente” e “logisticamente” impossibile: minimo quattro mesi e non un mese come nella dichiarazione “ad effetto” di Trump, laddove il Dipartimento di Stato ha precisato che le truppe statunitensi si ritireranno “a un ritmo adeguato, mentre allo stesso tempo continueranno a combattere ISIS e fare tutto quanto è prudente e necessario”. E il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ha voluto chiarire che gli Stati Uniti non si ritireranno fino a quando il terrorismo non sarà sconfitto in modo irreversibile; secondo il NY Times, le strategie proposte da Bolton “potrebbero lasciare lì le forze americane per mesi o addirittura anni”. Inoltre, gli Stati Uniti avrebbero avuto assicurazione dalla Turchia che non vi saranno azioni ostili contro le forze curde dell’YPG, molto attive in chiave anti ISIS, ma si tratta di assicurazioni che gli analisti internazionali non considerano credibili per parte turca. Infine, questa settimana il Segretario di Stato Mike Pompeo, in visita in Medio Oriente, ha assicurato Israele che “Gli Stati Uniti non stanno lasciando il Medio Oriente.” Sono comunque in molti a chiedersi se Trump stia seguendo o meno il percorso intrapreso dal suo predecessore Obama, “spingendo” gli USA a uscire dall’arena medio-orientale. Il punto centrale è che Bolton e Pompeo tendono a contenere la minaccia dall’Iran. Teheran in queste giornate non si muove (o non lo fa vedere) sul terreno del SIRAQ e sul campo diplomatico. La “Sciite Crescent” dall’Iran via Iraq e Siria arriva oggi al Mediterraneo e al Libano, cosa ottima per il regime di Teheran.

Inoltre, l’annuncio sulla contrazione della presenza USA in Siria, avendo scatenato una ridda di critiche interne negli States e in campo internazionale, sta dando sempre maggiore forza e attendibilità all’impegno della Russia per affermarsi come superpotenza areale.

La conseguenza immediata di un ritiro degli Stati Uniti sarebbe, senza dubbio, una lotta per il controllo nella Siria orientale, territorio ora controllato dalle forze curde con l’appoggio americano.

La presenza degli Stati Uniti ha dato “protezione” ai curdi contro le minacce di Damasco e le offensive di Ankara che descrive l’autonomia curda vicino al suo confine come una minaccia all’integrità nazionale o come minaccia terroristica, cercando così di aggirare le risoluzioni ONU sulla Siria (la Turchia è un paese della NATO) e poter agire militarmente in tale territorio.

Di contro, la risposta favorevole e rapida di Assad alla richiesta curda di protezione può essere facilmente vista come strategia del governo siriano per avere attraverso i curdi un baluardo per controllare il nord del paese mentre i curdi avrebbero nella presenza dell’esercito siriano una nuova difesa da possibili azioni ostili turche. Con questo stato di cose e con il benestare della Russia è più fattibile, al momento, che il governo siriano ristabilisca la sua sovranità territoriale accordandosi con i curdi, piuttosto che la Turchia prenda il controllo nel Nord Siria senza lasciare ai curdi una loro autonomia. Ed è probabile che, se si ritireranno effettivamente, gli USA vedranno significativamente ridotta la loro capacità di influenzare la soluzione finale nell’area a scapito dell’intraprendenza di Putin.

Infine, c’è da considerare la posizione di un’importante potenza areale, Israele. Si può pensare che una presenza militare americana significativamente ridotta farà aumentare il livello di conflittualità degli interventi militari israeliani in Siria. Gerusalemme non potrebbe più fare affidamento sulla potenza militare americana per scoraggiare l’espansione iraniana verso le alture del Golan. A sua volta l’Iran, per reazione, potrebbe cercare di espandere la sua presenza in supporto di Assad ed è probabile che Teheran possa pensare di continuare a costruire una sua rete di combattenti stranieri sciiti (Shiite Foreign Fighters) e di spostarli nella regione anche con l’aiuto di Hezbollah. Se i leader iraniani la riterranno una strategia valida, i cui benefici superano i suoi costi, la rete di combattenti potrebbe crescere da minaccia regionale a globale, creando in definitiva nuovi problemi a lungo termine per gli Stati Uniti e i loro alleati europei.

 

di Giuseppe Morabito

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