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Il conflitto russo-ucraino sulla Crimea, tra sanzioni e muri di indifferenza 

Il conflitto russo-ucraino sulla Crimea, tra sanzioni e muri di indifferenza 

K metro 0 – Kiev – Nell’indifferenza dell’opinione pubblica mondiale prosegue il conflitto strisciante, non dichiarato ma di fatto in corso da almeno 5 anni, tra Federazione Russa e Ucraina; centrato soprattutto sul possesso della penisola di Crimea, annessa dalla Russia dopo il referendum locale del 2014. Ultima notizia – pubblicata dalla testata francese online

K metro 0 – Kiev – Nell’indifferenza dell’opinione pubblica mondiale prosegue il conflitto strisciante, non dichiarato ma di fatto in corso da almeno 5 anni, tra Federazione Russa e Ucraina; centrato soprattutto sul possesso della penisola di Crimea, annessa dalla Russia dopo il referendum locale del 2014. Ultima notizia – pubblicata dalla testata francese online “France24” – è la costruzione, da parte russa, di un vero e proprio muro (giunto, sinora, alla lunghezza di 66 km.) lungo la frontiera tra Crimea occupata e Ucraina, giustificato dai russi con la necessità di impedire “tentativi d’intrusione dei sabotatori venuti dall’Ucraina” (i modelli,  pur non dichiarati, sono  il muro eretto, dal 2002 in poi, da Israele lungo i confini con la Cisgiordania occupata, e quello che l’amministrazione Trump sta erigendo ai confini col Messico). Anche l’Ucraina, comunque, già nel 2014 aveva iniziato a costruire un analogo muro di separazione con la Russia, la cui realizzazione, per una lunghezza di 2000 km., dovrebbe terminare nel 2021.

Un convegno organizzato recentemente al Senato, dalla Federazione Italiana per i Diritti Umani e dalla Fondazione “Open Dialog”, che ha visto la partecipazione anche dell’ambasciatore ucraino a Roma, Yevhen Perelyugin, ha cercato recentemente di fare il punto sulla situazione. Sono stati presentati due rapporti sull’argomento, rispettivamente dell’ONU (che ha esaminato la situazione in Crimea dal settembre 2017 al giugno 2018) e della ONG “Freedom House”.

Il Rapporto ONU denuncia gravi violazioni dei diritti civili commesse da parte di giudici, autorità di polizia, pubblici ministeri russi, nonché dagli agenti dell’FSB (erede del KGB) nei confronti di almeno 94 cittadini della Crimea: compreso l’avvio di procedura penale nei confronti di una donna che sui social media si sarebbe limitata ad esprimere critiche verso la politica della Federazione Russa. E la sparizione, nel 2014, di 42 cittadini, “desaparecidos” sul modello sudamericano; vengono poi denunciate le condizioni critiche in cui si troverebbero i detenuti nel centro di detenzione di Simferopoli. Infine, si denunciano imposizioni immotivate nei confronti della popolazione della Crimea, compreso l’arruolamento forzato di almeno 12.000 uomini nell’esercito russo (con un picco, nella primavera 2018, di 2800 persone).

Il Rapporto dell’ ONG “Freedom House”, invece (relativo più al 2015), cita nei dettagli varie leggi russe che creano forti discriminazioni tra cittadini russi “di serie A” e nuovi cittadini crimeani della Federazione: con obbligatorietà della cittadinanza russa, limitazioni delle libertà di parola e di associazione, minacce e intimidazioni ai giornalisti, sequestri e pignoramenti di beni,  persecuzioni nei confronti delle minoranze etnico-linguistico-religiose viventi in Crimea: come anzitutto i tatari (di origine turca, ma divisi, al loro interno, in altri 3 gruppi minori), addirittura accusati, tra l’altro, di aver collaborato in massa, durante la Seconda guerra mondiale, con gli invasori nazisti.

Il referendum indipendentista del marzo 2014 non è mai stato riconosciuto da gran parte della comunità internazionale, come Paesi UE, USA e altri 71 Paesi membri dell’ONU. Le Nazioni Unite rilevarono, infatti, pesanti interferenze, in molti seggi elettorali, da parte delle milizie filorusse e di reparti delle stesse truppe cosacche, inviati da Mosca. Mentre, entrando nel dettaglio del voto, vari dati mostrano che, in Crimea, i voti per l’unificazione con la Russia sono stati il 50-60% del totale, ma la partecipazione elettorale è stata limitata al 30-50%”degli aventi diritto: il che consente, fatti i dovuti calcoli, di ridurre al solo 15-30% la percentuale di elettori effettivamente favorevole alla secessione dall’Ucraina. Venendo all’oggi, se non si conoscono dati strettamente aggiornati, i 2 rapporti che ricordavamo citano un accurato sondaggio, svolto dal Centro ricerche ucraino “Razumkov” nel 2011 (in situazione, quindi, ancor lontana dal deterioramento successivo). Dal quale emergeva che, nonostante il gruppo etnico maggioritario in Crimea sia quello russo (58% della popolazione), il 70% degli intervistati in Crimea riteneva propria patria l’Ucraina (percentuale che saliva all’ 80% fra i tatari): solo il 18,6% optava per la federazione Russa.

Oggi, Mosca teme probabilmente il formarsi, in Crimea, di un’altra situazione “cecena”, e comunque non ha né l’intenzione, né la forza di sostenere un vero, lungo conflitto armato. Il presidente ucraino Poposhenko (e l’ambasciatore di Kiev in Italia) non si stancano di chiedere l’invio in Crimea di un contingente di osservatori e di caschi blu dell’ONU, per garantire il rispetto dei diritti di tutti e l’avvio di concrete trattative di pace fra tutti i protagonisti della situazione. L’ Unione Europea non è restata a guardare: e oltre a mantenere le sanzioni decise contro la Russia dall’inizio del conflitto (economiche, diplomatiche, individuali), più volte rinnovate, oggi, usando tutta la sua autorevolezza deve organizzare al più presto, sotto l’egida delle Nazioni Unite, una Conferenza internazionale per la pace. Capace di porre fine a un conflitto che, dalla Crimea al Donbass (l’area sudorientale dell’Ucraina, abitata soprattutto da popolazioni filorusse), è costato già varie migliaia di morti.

 

 

di Fabrizio Federici

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