“Un volo d’aquiloni”. Questo il titolo d’una raccolta di 4 racconti (Ed. Thyrus, 2018, e. 12,00), opera prima d’ una scrittrice promettente, la romana Rosanna Sabatini: che narra storie di donne forti in lotta con problemi come il mobbing sul posto di lavoro, la violenza di genere, la malasanità. Fa eccezione il primo racconto, strettamente
“Un volo d’aquiloni”. Questo il titolo d’una raccolta di 4 racconti (Ed. Thyrus, 2018, e. 12,00), opera prima d’ una scrittrice promettente, la romana Rosanna Sabatini: che narra storie di donne forti in lotta con problemi come il mobbing sul posto di lavoro, la violenza di genere, la malasanità. Fa eccezione il primo racconto, strettamente autobiografico: in cui l’Autrice ripercorre le vicende dell’infanzia, vissuta tra i quartieri Testaccio e, in seguito, Pietralata. Due zone di Roma diversissime, accomunate solo dalla radice fortemente popolare dei due insediamenti. L’ Autrice ricostruisce le origini di Pietralata, una delle 12 borgate realizzate dal Governatorato di Roma per trasferirvi, negli anni ’40, molti sfrattati dal centro dell’Urbe: dove, nella vasta area compresa tra il Campidoglio, i Fori Imperiali e San Giovanni – Santa Croce in Gerusalemme, i piani di ristrutturazione del fascismo (con la creazione, tra l’altro, di Via dei Fori Imperiali) avevano causato la demolizione di molti edifici, con l’esodo forzato degli abitanti.
Dopo la guerra, il quartiere si trova improvvisamente al centro del boom edilizio: negli anni dal ’57 al” 64, enormi distese verdi vengono inghiottite dal cemento, mentre il PCI catalizza le lotte per la casa. Rosanna Sabatini, classe 1954, si sofferma su quella che è soprattutto la Roma delle borgate e di Pasolini, con la Chiesa cattolica e il PCI principali “punti cardinali” nella vita della povera gente: che è in lotta con palazzinari e speculatori vari, in una Roma di periferia che dista davvero anni luce da quella di Montecitorio e delle “Vacanze romane” in via Margutta e Piazza di Spagna, e che, sino a fine anni ’70 , e oltre, manterrà, per molti aspetti, una fisionomia quasi da Terzo Mondo.
Notizie anche interessanti si trovano – sempre nel primo racconto e poi nell’appendice – sulla storia recente del Reatino, e più esattamente, della zona del Lago del Salto ( di Borgo San Pietro, frazione del Comune di Petrella del Salto, erano genitori e nonni dell’ Autrice): il paese originario – in una situazione alla Guareschi – era rimasto sepolto sotto le acque del lago, dopo l’inaugurazione nel 1940, da parte di Mussolini, della diga più’ alta dell’ epoca, che aveva sbarrato il fiume Salto ( affluente del Velino). Diga costruita, insieme a quella del vicino Lago del Turano, per alimentare, nella centrale di Cotilia, la produzione di energia idroelettrica, necessaria soprattutto alle acciaierie di Terni.
In Appendice – basandosi anche sugli interventi al convegno di studi di Borgo S. Pietro dell’ottobre 1986 – la Sabatini ripercorre le vicende di tutta l’area: la cui popolazione non fu minimamente sentita dal Governo fascista, che, per soddisfare le richieste della “Società Terni”, permise arbitrariamente l’utilizzazione delle acque dell’Italia centrale. Coi lavori svoltisi dal 1937 al 1941, nella Valle del Salto e del Turano una vasta area di terreni agricoli altamente redditizi fu sommersa per la realizzazione del lago artificiale, mentre la prospettiva d’un lavoro sicuro nella realizzazione di opere pubbliche, e del successivo sviluppo di commerci e servizi vari attirava nella zona schiere di disoccupati, e anche di contadini e braccianti del posto: pervasi da una sorta di “febbre dell’oro” a metà tra il West e l’Abruzzo di “Fontamara”. Tuttora gli anziani del luogo- ricorda ancora l’Autrice – parlano con rabbia di ampie vallate e pianure, coltivate o lasciate a pascolo, poi letteralmente sparite per far posto a questa sorta di “nuovo Fucino”. Mentre , l’ 8 maggio 1940, Mussolini in persona si recava ad inaugurare gli impianti sul Salto e sul Turano: senza però degnare d’uno sguardo la baraccopoli degli sfollati, costretti poi, negli anni seguenti, a vivere nelle casette di cemento, a volte addirittura senza camini, realizzate in fretta e furia dal Governo, Diversamente dalla gente del Fucino – ricorda, citato dall’ Autrice, Roberto Marinelli, storico dell’area dei Monti Reatini – questa del Salto non ha avuto neanche un Ignazio Silone in grado di rievocare il suo strazio. Mentre dopo la Seconda guerra mondiale, è iniziata anche l’emigrazione di molti, convintisi a lasciare gli attrezzi del contadino per andare a lavorare nelle miniere del Belgio.