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Serbia. Proteste anticorruzione e minacce ai giornalisti

Serbia. Proteste anticorruzione e minacce ai giornalisti

K metro 0 – Belgrado – Da quando è stato eletto, nell’aprile del 2017 a seguito di probabili brogli elettorali, Aleksandar Vucic è contestato dai Serbi. Adesso, è tornato alto il livello delle proteste anticorruzione contro il presidente Aleksandar Vucic. Questo sabato, i Serbi sono scesi in strada a Belgrado in migliaia per quella che è

K metro 0 – Belgrado – Da quando è stato eletto, nell’aprile del 2017 a seguito di probabili brogli elettorali, Aleksandar Vucic è contestato dai Serbi. Adesso, è tornato alto il livello delle proteste anticorruzione contro il presidente Aleksandar Vucic. Questo sabato, i Serbi sono scesi in strada a Belgrado in migliaia per quella che è la quarta settimana di questo nuovo ciclo di manifestazioni antigovernative.

Sarebbero state circa 25.000 le persone che hanno preso parte all’evento. Vucic, prima nazionalista, ora sarebbe diventato pro-Europa. L’attuale presidente serbo è accusato dai manifestanti di avere instaurato un sistema autocratico e di praticare un totale controllo sui media.

Un manifestante ha detto: “Sostengo queste persone, la mia gente, il mio paese contro la dittatura e la violenza del governo”. Una donna ha aggiunto: “Va tutto male. Non abbiamo libertà nei media né libertà per i giornalisti”.

Moltissimi hanno usato dei fischietti, un oggetto diventato simbolo delle proteste di piazza nel paese, dal tempo dell’ex presidente Milosevic negli anni ’90. Ci sono stati diversi scontri e il movimento “Alleanza per la Serbia” ha accusato attivisti pro-presidente di essere all’origine di quelle che sono state definite provocazioni.

Le proteste sono scoppiate, dopo un violento attacco fatto dal governo contro un politico oppositore, lo scorso novembre. Vucic avrebbe detto che è pronto ad ascoltare il popolo, ma non le bugie dell’opposizione.

L’Unione europea lo ha già invitato a migliorare la situazione della Serbia soprattutto per ciò che riguarda la libertà dei media. Il corrispondente di un giornale estero ha riferito: “Ci sono proteste ogni settimana ormai da un mese. Adesso la domanda è se le opposizioni riusciranno a mantenere questa pressione e se soprattutto il governo, e il presidente Vucic, saranno a un certo punto costretti ad ascoltare e dare delle risposte alle richieste di cambiamento”.

Più che dare ascolto alle voci della protesta, il governo di Vucic sta rispondendo con minacce.

Per la sua attività di sostegno delle proteste contro la violenza a Belgrado, la giornalista serba Tatjana Vojtehovski e sua figlia sono state prese di mira da minacce di morte, il 27 dicembre. L’Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia (NUNS) ha riferito degli incidenti alle autorità e Tatjana Vojtehovski ha presentato tre capi d’accusa alla ‘Divisione della criminalità High Tech’ della polizia serba. La retorica anti-media impiegata dai funzionari del governo serbo è stata condannata fermamente. Diverse organizzazioni di giornalisti provenienti dalla Serbia (tra cui UNS e NUNS), Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Croazia, Kosovo e Macedonia hanno invitato le autorità competenti in Serbia a prendere immediatamente tutte le misure contro le persone che hanno minacciato Tatjana Vojtehovski e sua figlia e tutte le misure necessarie per proteggerli.

Tatjana Vojtehovski ha ricevuto una serie di minacce tra cui che sarebbe stata violentata se non avesse smesso di parlare delle proteste avvenute a Belgrado. Analoghi sono stati anche i messaggi di minaccia per sua figlia. La giornalista Vojtehovski ha detto: “Ieri, entro otto ore, mia figlia e io abbiamo presentato tre denunce penali all’Ufficio della criminalità ad alta tecnologia. Mi hanno chiamato e ho intenzione di fare una dichiarazione. Questo è, come ho scritto su Twitter, la conseguenza diretta della retorica di Aleksandar Vucic”.

L’UNS ricorda che, secondo le disposizioni del Codice penale, per aver compromesso la sicurezza minacciando le persone che svolgono un lavoro di interesse pubblico attraverso l’informazione, è prevista una pena detentiva da sei mesi a cinque anni di carcere. Di conseguenza, l’UNS si aspetta che i responsabili di questi attacchi vengano puniti.

Ma i problemi della Serbia non sono soltanto quelli derivanti dal governo autoritario ed oppressivo di Vucic.

Ancora non è stato risolto il problema del Kosovo auto dichiaratosi indipendente da Belgrado nel 2008. Adesso, più della metà dei serbi pensa che il Kosovo debba rimanere parte della Serbia. Lo ha rilevato uno studio del Center for Free Elections and Democracy (CeSID) e del Center for Euro-Atlantic Studies (Ceas).

Secondo il sondaggio, il 53% dei serbi ha affermato che il Kosovo deve rimanere in Serbia ‘a tutti i costi’, mentre solo il 24% ha concordato con l’assunto che ‘il Kosovo è indipendente e la Serbia deve accettare questa situazione e guardare al futuro’. Inoltre, il 33% ha detto di pensare che sia realistico puntare su una partizione del Kosovo, con il nord a maggioranza serba da portare sotto il diretto controllo di Belgrado. Invece, il 36% ha suggerito una più ampia delimitazione su base nazionale, con le aree abitate in prevalenza da serbi in Kosovo che dovrebbero rimanere parte della Serbia.

Sull’integrazione con l’Ue, il 47% del campione avrebbe assicurato che voterebbe a favore dell’adesione della Serbia all’Unione in un ipotetico referendum, mentre il 36% si esprimerebbe contro. Oltre due terzi degli intervistati (68%) sono invece contrari all’ingresso nella Nato e soltanto l’11% si è dichiarato favorevole. Il sondaggio reso noto recentemente, è stato realizzato nel novembre 2018 sulla base di un campione di 1.010 interviste.

 

 

di Salvatore Rondello

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