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Congo, epidemia di Ebola, la più grave dopo quella del 2014

Congo, epidemia di Ebola, la più grave dopo quella del 2014

K metro 0 – Congo – Una delle più letali epidemie di Ebola della storia, senz’altro la peggiore dopo quella in Africa Occidentale del 2014 (secondo il parere d’un gruppo di esperti americani pubblicato sull’autorevole “Journal of the American Medical Association”), imperversa nella Repubblica Democratica del Congo, con 319 persone morte. Martedì scorso il ministro

K metro 0 – Congo – Una delle più letali epidemie di Ebola della storia, senz’altro la peggiore dopo quella in Africa Occidentale del 2014 (secondo il parere d’un gruppo di esperti americani pubblicato sull’autorevole “Journal of the American Medical Association”), imperversa nella Repubblica Democratica del Congo, con 319 persone morte.

Martedì scorso il ministro della Sanità ha comunicato che 542 casi di Ebola sono stati registrati nella provincia del Kivu Nord (494 dei quali confermati). Dei 319 pazienti che sino ad ora si ritiene siano morti di virus, 271 sono stati confermati. In media, l’Ebola – che causa febbre, seri mal di testa e in alcuni casi emorragie – uccide circa la metà degli infetti, ma spesso, nelle singole epidemie, sono variati i tassi di mortalità.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità informa che gli sforzi per contenere la diffusione dell’Ebola vengono ostacolati da quello che, secondo l’OMS, è lo scarso impegno da parte delle comunità locali, e dai conflitti armati tuttora in corso nella regione. Il Kivu Nord, che include le città di Beni, Kalunguta e Mabalako, rimane l’epicentro dell’epidemia, nonostante casi di Ebola siano stati registrati, informa sempre l’OMS, anche nella vicina provincia di Ituri. Le due province sono tra le più popolate della nazione e confinano con l’Uganda, il Ruanda e il Sudan meridionale. L’ Agenzia della Sanità pubblica congolese stima che più di un milione di rifugiati e sfollati interni stanno viaggiando attraverso e fuori dal Kivu Nord e dall’ Ituri: cosa che potrebbe accelerare ulteriormente la diffusione del virus.  L’epidemia è la decima in Congo dal 1976, e la seconda quest’anno. Secondo la comunità scientifica, la situazione richiederebbe «una dichiarazione di emergenza sanitaria di interesse internazionale», per citare gli autori di un documento apparso ultimamente sul “New England Journal of Medicine”.

La situazione, comunque, è abbastanza paradossale, considerando che oggi, dopo la catastrofica epidemia del 2014, che causò circa 11.000 morti, si dispone di un vaccino, che, per quanto sperimentale, ha già contenuto, la diffusione dell’epidemia. Il problema è che i soccorritori, a causa dell’ostilità dei ribelli, in varie province del Congo spesso non riescono a soccorrere in tempo dove servirebbe. Per questo, sottolinea sempre l’autorevole “New England…”, è indispensabile un impegno internazionale per combattere adeguatamente l’epidemia; mentre contenerla non è possibile senza «individuare e condurre indagini approfondite sui casi, monitorare i contatti delle persone già contagiate e isolare rapidamente chiunque abbia sintomi”.

Tutto questo presuppone l’invio, nelle aree contagiate, di molti più operatori sanitari di quelli presenti attualmente: ma, dato che proprio tra gli operatori si è verificato il 10% dei casi di Ebola, occorre «vaccinare anche loro, oltre a insegnare a quante più persone possibili come riconoscere i potenziali casi di malattia, in modo da procedere all’eventuale isolamento e alla vaccinazione dei contatti più stretti”. Mentre è indispensabile la più scrupolosa igiene degli ospedali e delle altre strutture sanitarie, rivelatesi purtroppo, negli ultimi tempi, importante canale di trasmissione della malattia (da sempre, del resto, in tutto il mondo esiste la piaga delle infezioni ospedaliere).

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