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Silvia Costa, la cultura è una componente essenziale del benessere dei cittadini europei – Intervista

Silvia Costa, la cultura è una componente essenziale del benessere dei cittadini europei – Intervista

K metro 0 – Roma – Stupisce sapere che all’inizio della legislatura Juncker, ormai in scadenza, nei primi dieci punti di programma non esisteva il termine “cultura”. Non a caso, Silvia Costa, rieletta nel maggio 2014 per il secondo mandato al Parlamento europeo e nominata Presidente della Commissione cultura e istruzione, si è battuta per

K metro 0 – Roma – Stupisce sapere che all’inizio della legislatura Juncker, ormai in scadenza, nei primi dieci punti di programma non esisteva il termine “cultura”. Non a caso, Silvia Costa, rieletta nel maggio 2014 per il secondo mandato al Parlamento europeo e nominata Presidente della Commissione cultura e istruzione, si è battuta per dedicare il 2018 all’Anno europeo del Patrimonio culturale (tangibile, intangibile e digitale) e ottenerne il riconoscimento dal Parlamento europeo.

Parliamo dunque di un sentire europeo, di una comunità di pensatori, di filosofi, e anche di cultura politica. «La capacità di costruire dialoghi, è la vera risorsa strategica per l’Europa. Su questa si giocherà il futuro dello sviluppo sostenibile, della conoscenza, competenza, innovazione e occupazione». Preme subito sull’acceleratore la nostra chiacchierata con un politico che di cultura capisce molto, e non solo. L’eurodeputata PD, del gruppo S&D è difatti relatrice di Europa Creativa, programma quadro di 1,46 miliardi di euro dedicato al settore culturale e creativo per il 2014- 2020, composto di due sottoprogrammi (Cultura e Media) e da una sezione transettoriale (fondo di garanzia partito nel 2016, per il settore culturale e creativo più data support più piloting). Nel nuovo programma per il periodo 21-27, la Commissione propone un budget di 1.8 miliardi, mentre Silvia Costa punta quasi al raddoppio, a 2,8 miliardi.

Intervista Di Alessandro Luongo

Quanto è importante per lei la cultura in Europa?

«Stando a una ricerca di Europa Nostra (federazione pan-europea per il patrimonio culturale che rappresenta un movimento di cittadini in rapida crescita per la tutela del patrimonio culturale e naturale del Vecchio Continente) gli addetti al patrimonio culturale in Europa sono circa 300 mila, mentre il perimetro allargato delle imprese culturali e creative (inclusa anche la moda) rappresenta il 12 per cento del Pil europeo. E l’Italia è il paese con il patrimonio culturale più diffuso. Gli investimenti in questo patrimonio, che sono strategici, non sono stati percepiti pertanto con il dovuto rilievo nelle politiche europee, e richiedono più risorse. Il bene culturale è invece sentito come fondamentale ed è uno degli elementi del benessere dei cittadini europei. Pensiamo, ad esempio, alle capitali europee della cultura diventate veri laboratori di ripensamento delle città; come Marsiglia, che ha visto tutta l’area del porto riqualificata, alla stessa area industriale della regione della Ruhr in Germania, a Matera in Italia».

Cosa farà dunque l’Europa per promuovere questa risorsa strategica?

«Si è avviata in questi due anni una nuova strategia europea per la cultura nelle relazioni internazionali, per cui la cultura deve essere presente in tutti gli accordi bilaterali, anche attraverso focal point nelle delegazioni europee presso paesi terzi. Pensiamo ad esempio, alla piattaforma Eunic, network degli istituti di cultura di tutti i paesi europei, sovvenzionata dal Parlamento europeo, e il cui presidente nel 2019 sarà l’italiano Roberto Vellano, al momento vicepresidente.

Di grande importanza è, soprattutto, il Premio Lux del cinema sostenuto dal Parlamento europeo, tenutosi a metà novembre a Venezia. Nella fase finale tutti i 751 membri del Parlamento europeo sono invitati a votare per uno dei tre film in concorso. Ai tre registi prescelti sono tradotti i loro lungometraggi nelle 23 lingue europee ufficiali. Riconoscimento importante, perché così possono conquistare anche il mercato extra continentale».

Lei che è anche vicepresidente dell’intergruppo parlamentare sulla Povertà e componente dell’intergruppo sui diritti dei minori, cosa può dirci dell’abbandono scolastico?

«Premesso che le politiche educative sono affidate agli Stati membri (organizzazione del sistema scolastico, reclutamento docenti e programmi), l’Europa può definire standard di qualità e indicare obiettivi, come ha fatto con Lisbona 2020 (quadro strategico istruzione e formazione e per la crescita dell’occupazione). Noi abbiamo fatto inserire più stanziamenti nei fondi sociali europei per prevenire la dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Nel periodo 2005- 2009 io ho utilizzato quei fondi europei come assessore regionale riducendo del 4 per cento la dispersione scolastica nel Lazio, e facendo nascere 13 istituti tecnici superiori (ITS). Inoltre, ho creato percorsi d’istruzione e formazione professionale che hanno qualificato molti giovani e permesso al 50 per cento di loro di tornare sui banchi di scuola a diploma conseguito o di ottenere qualifiche professionali. Da noi mancano quelle professioni alte che non sono accademiche ma specialistiche».

Cosa è in programma per l’infanzia e la povertà, invece?

«Come parte del gruppo S&D abbiamo proposto una “Child guarantiee”, garanzia per i bambini dopo il summit di Goteborg in Svezia; e un’assicurazione europea per la disoccupazione. Tutti i bimbi residenti in Europa devono avere accesso gratuito alla scuola dell’obbligo e la qualità e certezza di un servizio adeguato. Sulla povertà, in termini reali, per il periodo 2014- 2020 sono stati stanziati per il FEAD (Fondo di aiuti europei agli indigenti) oltre 3,8 miliardi di euro. Inoltre, i paesi dell’Ue sono tenuti a contribuire al rispettivo programma nella misura di almeno il 15 per cento mediante cofinanziamenti nazionali. Adesso FEAD confluisce nel nuovo Fondo Sociale europeo +, che sostiene gli interventi promossi dai paesi dell’UE per fornire ai bisognosi un’assistenza materiale, tra cui generi alimentari, abiti e altri articoli essenziali per uso personale, come scarpe, sapone e shampoo. L’assistenza deve andare di pari passo con misure d’integrazione sociale, come iniziative di orientamento e sostegno per aiutare le persone a uscire dalla povertà. Aggiungo che va adottato un atteggiamento diverso nei confronti della povertà. Il povero deve essere aiutato da servizi e prestazioni a diventare autonomo».

Che bilancio vorrebbe tratteggiare del lavoro compito dalla Commissione europea finora?

«Un errore generale è stato quello di voler intervenire con una logica dei due tempi: prime le misure sul rigore dei conti e sul versante economico- finanziario e solo dopo con le politiche sociali- educative. Ma non devono esistere due tempi separati com’è successo finora. Non ha senso. Se non sono difatti rafforzate al contempo politiche sociali, si crea una sacca di crisi e disagio che non trova risposte e dà adito al populismo».

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