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La percezione dell’immigrazione un problema reale – Intervista a Marco Valbruzzi. coordinatore Istituto Cattaneo

La percezione dell’immigrazione un problema reale – Intervista a Marco Valbruzzi. coordinatore Istituto Cattaneo

K metro 0 – Intervista di Daniela Bracco a Marco Valbruzzi. coordinatore Istituto Cattaneo Dottor Valbruzzi, tra i numeri effettivi dell’immigrazione e le percezioni degli italiani c’è un divario enorme, quasi inspiegabile. Cosa è successo? Gli immigrati in Italia sono circa 5 milioni a cui vanno aggiunti gli irregolari, arrivando cosi a una stima complessiva, per

K metro 0 – Intervista di Daniela Bracco a Marco Valbruzzi. coordinatore Istituto Cattaneo

Dottor Valbruzzi, tra i numeri effettivi dell’immigrazione e le percezioni degli italiani c’è un divario enorme, quasi inspiegabile. Cosa è successo?

Gli immigrati in Italia sono circa 5 milioni a cui vanno aggiunti gli irregolari, arrivando cosi a una stima complessiva, per eccesso, di circa 6 milioni.  Ovvero il 10% della popolazione, percentuale che per alcuni è molto più bassa, 7-8%. Gli italiani invece ne percepiscono quasi il triplo, il 25%. Anche in Spagna, Portogallo e Regno Unito – solo per citare i tre casi più rilevanti – la distanza tra realtà e percezione è ampia e abbondantemente superiore alla media europea (pari al 16,7%). Ma nessun altro paese ha una visione tanto distorta, e quindi errata, quanto l’Italia. Il problema è che una percezione distorta ha un’influenza diretta sulla realtà, cioè produce conseguenze concrete sulle opinioni dei cittadini, sulle proposte programmatiche dei partiti e, infine, sulle decisioni dei governi. In questa prospettiva la percezione, anche se errata, è più vera del vero.

Quali sono i fattori che alimentano tale macro-errore della percezione che genera evidenti conseguenze reali sul piano sociale, economico e politico?

È una complessa combinazione di fattori diversi e tutti importanti: da preoccupazioni che allargano in modo arbitrario il peso dell’immigrazione su costo del welfare a motivazioni soggettive e psicologiche che vengono alimentate nel circuito dai nostri schemi cognitivi (o frame) che filtrano informazioni ritenute rilevanti e tralasciano quelle considerate superflue o in contrasto con il nostro schema interpretativo di partenza. Inoltre, l’errore di percezione aumenta al decrescere del livello di istruzione e l’Italia ha sia il numero più basso di laureati tra i paesi europei sia il più alto tasso di abbandono scolastico. Inoltre, fino a 30 anni fa il nostro Paese era abituato più all’emigrazione che all’immigrazione e ha percepito come una vera “impennata” i flussi verso l’Italia degli ultimi 20 anni, con i picchi del 2014-2015. Infine, diffusa microcriminalità, da un lato, e crescita della popolazione straniera, dall’altro, hanno favorito il formarsi di una visione ostile e distorta sulla presenza degli immigrati in Italia.

La politica ha le sue responsabilità nella creazione di false narrazioni. Quale è la chiave per far venire tutti allo scoperto sulle realtà da affrontare?

Finché il confronto politico rimane ancorato a una narrazione che mobilita i pregiudizi dell’opinione pubblica a proprio vantaggio e impone una storia di nazione minacciata alle frontiere che richiede azioni eroiche e forti, non andremo molto lontano, né gli oppositori riusciranno a proporre argomentazioni altrettanto incisive e popolari. Sarebbe opportuno uscire da questo tipo di dialettica e pensare a un’Italia diversa, che affronta la questione dell’immigrazione non dal lato dell’emergenza, bensì da quello dell’integrazione. Credo che l’Italia sia in grado di gestire senza traumi un flusso migratorio di circa 20mila persone (quelle registrate nel 2018, fino ad oggi), e dovrebbe imparare a spostare il fuoco dell’attenzione pubblica su quella che attualmente è la vera emergenza sociale: gli oltre 50mila giovani italiani che ogni anno lasciano l’Italia per andare a cercare lavoro e fortuna all’estero.

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