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La sfida democratica al governo: “Siamo 70mila, altro che 4 gatti” in piazza del Popolo. Martina: comizio appassionato, ma con qualche lacuna

La sfida democratica al governo: “Siamo 70mila, altro che 4 gatti” in piazza del Popolo. Martina: comizio appassionato, ma con qualche lacuna

K metro 0 – Roma – Nell’ultima domenica di settembre, che riserva alla capitale un sole e un caldo ancora estivi, piazza del Popolo appare piena, addirittura 70mila persone secondo gli organizzatori, un dato forse ottimistico ma che non stona con il colpo d’occhio. La macchina organizzativa del Pd, forse memore del passato da cui proviene,

K metro 0 – Roma – Nell’ultima domenica di settembre, che riserva alla capitale un sole e un caldo ancora estivi, piazza del Popolo appare piena, addirittura 70mila persone secondo gli organizzatori, un dato forse ottimistico ma che non stona con il colpo d’occhio. La macchina organizzativa del Pd, forse memore del passato da cui proviene, ha funzionato, piazza del Popolo era affollata e piena di bandiere democratiche e dell’Ue. A indicare questa cifra sono gli organizzatori della manifestazione. Il catino di piazza del Popolo – si sottolinea nell’organizzazione – era pieno (anche se si deve tener conto delle corsie transennate per il passaggio dei mezzi di soccorso), e la folla si è assiepata anche dal lato di via del Corso fino ad ostruirne il primo tratto. Altra folla era lungo le salite che portano al Pincio e nello slargo davanti a Porta del Popolo.

Migliaia di persone gridano ai dirigenti “U-ni-tà”, ripetutamente e per tutto il comizio di Martina

Tante persone che, però, hanno voluto lanciare un messaggio chiaro a tutti i dirigenti del partito: “U-ni-tà, u-ni-tà” è il coro che è partito più volte spontaneamente, “Tante idee, una voce sola” si legge su uno striscione in prima fila. Un avvertimento che i dirigenti Pd, almeno oggi, raccolgono. In piazza arrivano tutti, da Matteo Renzi a Nicola Zingaretti, passando per Paolo Gentiloni, Andrea Orlando, Dario Franceschini, Marco Minniti, Carlo Calenda, Graziano Delrio, Andrea Marcucci, Matteo Orfini… Tutti, a parte Michele Emiliano. Tanti abbracci, Renzi con Gentiloni, Martina con Renzi, Gentiloni con Martina. Renzi addirittura precisa di non avere mai detto di ritenere Zingaretti “inadeguato” come segretario, parole che in effetti non ha pronunciato: da Lilli Gruber l’ex premier aveva detto che non voterà Zingaretti segretario per via della sua linea “ambigua” verso i 5 stelle, ma aggiungendo che “chiunque vinca, non farò quello che hanno fatto a me”. Concetto ribadito oggi. Di fronte al balcone di Luigi Di Maio, e di fronte ai militanti che mostrano ancora di crederci, i dirigenti democratici evitano le discussioni di queste settimane. Il dilemma sul “che fare” con i 5 stelle oggi non viene affrontato, la discussione su come rapportarsi verso il Movimento, o almeno verso la sua ala più di sinistra, dominerà il congresso ma nel caldo pomeriggio romano non trova spazio. Renzi insiste contro la “deriva venezuelana” del governo, Zingaretti ribadisce che “il Pd è indispensabile” e invita chi scommetteva sul fallimento a “rimettere lo champagne in frigo”.

Il comizio di Martina, appassionato e forte. Urla “vergogna” contro Di Maio, inveisce contro Conte e stronca la manovra

Sul palco, dei dirigenti sale solo il segretario, che chiude l’evento dopo le testimonianze di giovani, operai, amministratori locali, a partire da Federico Romeo, il presidente del municipio Valpolcevera di Genova colpito dal crollo del ponte. Maurizio Martina recita una parte insolita, per chi lo conosce mite e pacato: parla con passione, molte frasi da comizio al posto dei ragionamenti a cui è abituato. Urla, spesso, tanto, al punto che più volte la voce gli si strozza in gola e devono portargli un po’ d’acqua per permettergli di andare avanti. Grida “vergogna” ripetutamente, contro Luigi Di Maio che aveva definito Renzi “assassino politico”, e ancora “non si governa un grande Paese come l’Italia dal balconcino, come Di Maio. È una scena da Repubblica delle banane”; inveisce contro “il governo dell’odio”, contro il premier Giuseppe Conte che ‘copre’ le minacce di Rocco Casalino ai tecnici del Mef. Anzi, sul capo del governo usa una battuta al vetriolo: “Conte passa dall’essere avvocato del popolo ad avvocato del suo portavoce”. Urla “Lega ladrona”, rinfacciando a Matteo Salvini la storia dei 49 milioni che secondo i giudici la Lega deve restituire. Martina stronca la manovra (“Una truffa, dentro c’è solo il conto da pagare”), dice che il ministro Danilo Toninelli “dovrebbe andare a casa subito”, accusa M5s di avere “sigillato il patto Salvini-Berlusconi, altro che cambiamento”. Ciò che tuttavia è mancato nel discorso, sia pure teso e orgoglioso, di Martina, è un cenno, anche solo di passaggio alla funzione che il presidente della Repubblica sta cercando faticosamente, e in solitudine, di svolgere in difesa delle prerogative costituzionali, soprattutto dinanzi a filosofie economiche estremamente controverse da parte di ministri e membri del governo, a vario titolo, che giocano con deficit, debito pubblico, crescita ed altre amenità (che incidono nella vita quotidiana e concreta degli italiani) come fossero figurine di carta. Abbiamo letto in alcuni passaggi del comizio di Martina, soprattutto in alcune dimenticanze, un qualche imbarazzo, comprensibile, certo, ma non del tutto giustificato, dal momento che il Pd ha cercato invano di cambiare la Costituzione ed è stato sconfitto, così come ha cercato di cambiare l’Italia in peggio, ed è stato sconfitto. Ecco, dire “abbiamo capito” non basterà certo a fare i conti con quelle sconfitte, per liberare il futuro di questo partito da zavorre pesantissime.

Quindi si rivolge ai suoi, ai “tanti elettori di centrosinistra che il 4 marzo non ci hanno votato voglio dire: abbiamo capito, abbiamo capito. Adesso però ci date una mano? Perché l’Italia non può andare a sbattere per colpa di quelli che governano in modo folle”. Il segretario promette “unità, meno arroganza, più impegno, più ascolto. Un partito di strada, perché da lì non sbagli mai”. Ma avverte anche chi pensa di fare a meno del Pd: “Serve un nuovo Pd per una nuova sinistra, di alternativa. Ma, lo dico senza arroganza, senza il Pd non ci sarà una nuova sinistra in questo Paese”.

Martina concede gran parte del comizio al governo e alla manovra, entrambi pericolosi per l’Italia. E infine, l’appello all’unità del Pd

Il grosso dell’intervento del segretario, così come di quello quasi in contemporanea di Renzi, è dedicato però al governo e a una manovra “pericolosa per l’Italia”. “Questo Paese ha bisogno di guardare avanti e non di tornare nel guado”, sottolinea Martina che poi si rivolge direttamente a Di Maio e Salvini: “Vergognatevi! Siete ossessionati dall’idea di trovare un nemico invece che da quella di trovare soluzioni ai problemi. Pensate solo al vostro tornaconto elettorale”, grida. Al governo “si preparano a tagliare spese fondamentali, dalla scuola alla sanità mentre il Mezzogiorno è scomparso dall’agenda politica”. E, in quanto a Salvini, il segretario assicura una opposizione senza se e senza ma contro il tentativo di liberalizzare le armi. “Se avete a cuore la sicurezza e la democrazia”, aggiunge, “dimostrate di voler combattere la xenofobia e il razzismo. Altro che andare a cena con qualche organizzazione che andrebbe chiusa”. Il riferimento è alle fotografie circolate sui social network che ritraggono Salvini a tavola con esponenti di CasaPound. Il finale è ancora sull’unità necessaria al partito, “siamo somma e non divisione”. Parole accompagnate dalle note di Bruce Springsteen, ‘Born to Run’, nato per correre. Ma al congresso sembra non pensarci, visto che a chi gli chiede se sarà della partita si limita a rispondere: “Darò una mano”.

 

Pino Salerno

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