K metro 0 – London – Secondo un’analisi dell’Economist del febbraio 2017 su dati UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), smartphone e altri dispositivi mobili sono indispensabili per chi lascia il proprio paese: non solo per mantenere i contatti con i familiari, ma anche per ricevere notizie da chi ha raggiunto la destinazione
K metro 0 – London – Secondo un’analisi dell’Economist del febbraio 2017 su dati UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), smartphone e altri dispositivi mobili sono indispensabili per chi lascia il proprio paese: non solo per mantenere i contatti con i familiari, ma anche per ricevere notizie da chi ha raggiunto la destinazione e scambiare informazioni sulle traiettorie da seguire. Tra i social più usati WhatsApp e Viber: un vero e proprio intreccio di canali e strumenti informatici che costa ai migranti fino a un terzo del loro patrimonio. Molti sono costretti ad acquistare costose sim dalla Gran Bretagna che non richiedono il documento per l’attivazione; alcuni ricevono donazioni da enti di beneficenza come Phone Credit for Refugees and Displaced People, ma le risorse umanitarie non bastano. Inoltre, è fondamentale mantenere le comunicazioni durante il viaggio: in caso di naufragio, ad esempio, i ricevitori satellitari del Centro di coordinamento per il soccorso marittimo della Marina militare italiana intercettano le chiamate dalle imbarcazioni. Una “corsa agli armamenti tecnologici”, con le parole di Alexander Betts (Refugee Study Center, Università di Oxford), intrapresa anche dalle agenzie internazionali: nei campi profughi di Medio Oriente e Africa, molti dei 2 milioni di rifugiati che si affidano al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite sono registrati su dati biometrici, come la scansione dell’iride, per accedere all’acquisto di generi alimentari o prelevare denaro al bancomat.
Anche i governi nazionali si stanno dotando di soluzioni tecnologicamente più avanzate per fronteggiare la crisi e facilitare i respingimenti. Tra le misure antiterrorismo che il Bundestag tedesco ha approvato il 18 maggio 2017, e annunciate nell’agosto del 2016 dal ministro degli interni Thomas de Maizière dell’Unione Cristiano-Democratica, c’è la cosiddetta “Phone Search law”: l’Ufficio federale tedesco per la migrazione e i rifugiati (BAMF) sarebbe autorizzato a esaminare i cellulari dei migranti senza passaporto ed estrarre i metadati (password, contatti, percorsi) per stabilirne l’identità e tracciarne la provenienza. In linea di principio, secondo una modifica del 2015 alla legge tedesca sulla residenza, era già possibile accedere ai telefoni e altri supporti, ma con il consenso del proprietario o con ingiunzione del tribunale. Adesso invece questo permesso si potrà bypassare. La legge, secondo il ministro proponente, segue il fallimento dei mezzi tradizionali della polizia di frontiera; numerosi migranti, infatti, sono privi di documenti ma tutti o quasi possiedono uno smartphone, strumento indispensabile nel lungo e difficile viaggio verso il cuore dell’Europa. In molti, inoltre, mentono sulle proprie generalità, per frode o per paura, e possono nascondersi dietro decine di identità. Il sistema delle impronte digitali contenute nella banca dati Eurodac, istituita nel 2003 ed entrata in crisi con l’eccezionale ondata migratoria del 2015 dalla Siria, si è rivelato insufficiente: il tunisino Anis Amri, responsabile dell’attacco al mercatino di Natale a Berlino nel dicembre 2016, ricorda il quotidiano tedesco Dw, era in possesso di 14 documenti diversi e, sebbene i servizi di sicurezza lo seguissero da settimane, non è bastato a evitare la strage. Altri paesi come Norvegia, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi stanno adottando norme simili: gli agenti danesi sono autorizzati a sequestrare temporaneamente il dispositivo, da quando nel 2016 sono entrate in vigore misure più severe che arrivano fino alla confisca di beni e denaro. Recentemente anche l’Austria ha approvato regolamenti più restrittivi: “L’obiettivo è combattere l’immigrazione clandestina e l’uso improprio della richiesta di protezione internazionale”, ha affermato il cancelliere Sebastian Kurz presentando il disegno di legge, nel quale si prevede anche che i medici dichiarino alle autorità competenti i dati sulle dimissioni dagli ospedali, per agevolare l’espulsione.
Un giro di vite che, insieme ad altri deterrenti, ha contribuito al drastico calo delle richieste d’asilo nel biennio 2016-17 (dati Eurostat): in diminuzione in Germania, che nel 2017 ne ha registrate 198mila (-520mila rispetto al 2016), in Austria (-18mila), Paesi Bassi (-17mila) e Regno Unito (-15mila), mentre aumentano in Spagna (+15mila), Francia (+14mila), Grecia (+7mila) e Italia (+5mila).
di Anna Maria Baiamonte