K metro 0 – Roma – Ottantotto giorni. È il tempo che ci è voluto in Italia, dalle elezioni del 4 marzo 2018, per la formazione di un esecutivo, secondo formula, “nel pieno esercizio dei suoi poteri”. Il governo a guida giallo-verde vede la luce giovedì 31 maggio e ha come premier Giuseppe Conte, ordinario
K metro 0 – Roma – Ottantotto giorni. È il tempo che ci è voluto in Italia, dalle elezioni del 4 marzo 2018, per la formazione di un esecutivo, secondo formula, “nel pieno esercizio dei suoi poteri”. Il governo a guida giallo-verde vede la luce giovedì 31 maggio e ha come premier Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato all’Università di Firenze, designato dai due leader della maggioranza Luigi Di Maio e Matteo Salvini. L’iter, oltre che eccezionalmente lungo con una crisi da record, è stato anche travagliato. In breve, le tappe: il professor Conte, indicato da Lega e Movimento 5 Stelle, viene incaricato dal presidente Mattarella di formare un governo, ma riceve il veto del Quirinale alla scelta di affidare il ministero-chiave dell’economia a Paolo Savona, di cui sono note le posizioni critiche nei confronti dell’euro. Questo accadeva domenica 27 maggio. Conte rimette il mandato, la reazione a caldo del Movimento 5 Stelle sfiora l’accusa di impeachment, cioè alto tradimento, per la massima carica dello Stato, sono momenti di forte intensità emotiva; l’ultranazionalista Le Front National, il primo partito europeo a esprimere una posizione ufficiale, parla di «colpo di Stato da parte di Bruxelles, dei mercati finanziari e della Germania», riporta Le Monde. L’Italia precipita: il quotidiano francese Le Figaro apre il giorno successivo parlando di «crisi politica di una gravità senza precedenti». Non solo: a ricevere il mandato da Mattarella è Carlo Cottarelli, direttore degli affari fiscali del Fondo monetario internazionale, autore della spending review applicata sotto il governo Letta che gli è valsa l’eloquente soprannome di “mister forbice”.
Nell’arco di una notte si risveglia l’interesse allarmato del “sistema eurozona”. I mercati, che fino a quel momento avevano mantenuto stabilità e apparente indifferenza agli affari italiani, iniziano a fremere, le agenzie di rating ammoniscono l’Italia contro il “rischio retrocessione”, le borse, dopo un lunedì senza scossoni, registrano ingenti perdite, lo spread ha un picco di 303 punti quando martedì 29 maggio il presidente incontra Cottarelli: la prospettiva di un governo tecnico sotto l’egida del più ferreo apparato del Fmi fa temere un’onda montante di “indignazione” popolare. Su Paolo Savona in particolare si addensano le paure della Germania, definito un «nemico» dal quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Cosa preoccupa? Savona, le cui posizioni erano state chiarite in una nota al presidente dove si garantiva che non avrebbe messo in discussione la permanenza dell’Italia nella moneta unica, è conosciuto in sede accademica per le sue teorie sul “piano B”, una strategia di uscita dall’euro prevista anche da governi e finanza, ma che non viene divulgata. L’Italia è in bilico sulla sponda di una possibilità reale, e rischia di trascinare il resto dell’eurozona nell’inquietudine. Mentre una stampa disorientata registra notizie, dichiarazioni e cambi di umore che si susseguono convulsamente, quello stesso martedì “nero” 29 maggio corre sul web una frase attribuita al commissario Ue per il bilancio Günther Oettinger, del partito conservatore cristiano-democratico tedesco: «i mercati insegneranno all’Italia come votare», la dichiarazione shock riportata da Strasburgo in un tweet, poi rimosso, da un giornalista di Dw News. Un’ingerenza considerata da più parti inaccettabile, in un momento politico delicato in cui è in gioco il principio stesso di sovranità popolare. Immediate le reazioni: il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker ha parlato di «commento sconsiderato» perché «spetta solo agli italiani decidere sul futuro del loro paese». Secondo le ricostruzioni, si sarebbe trattato di un errore del giornalista, se ne è scusato anche Oettinger, fermo restando quanto riportato poi in versione “rivista e corretta”: «i mercati e un outlook negativo insegneranno agli italiani a non votare per i populisti alle prossime elezioni».
Italia come la Grecia? O prima ancora come Cipro? Più vicina a Mosca che a Berlino, dopo il 27 maggio sicuramente è un sorvegliato speciale. La crisi greca era rientrata al prezzo di un duro colpo di scure alla spesa pubblica, dopo che i cittadini si erano espressi a favore dell’ipotesi di un’uscita dall’euro con il referendum consultivo del 5 luglio 2015; la posizione verso il “cambiamento” dell’elettorato italiano è stata chiarita invece con un voto politico. Giovedì 31 torna a parlare Yanis Varoufakis in un’intervista al Corriere della Sera: quelle espresse da Savona sulla struttura della zona euro, secondo l’ex ministro greco, sono «ragionevoli preoccupazioni». Lo stesso giorno, riporta l’Ansa, si pronuncia Pierre Moscovici, commissario Ue agli affari economici: «interferire è inammissibile, gli italiani decideranno del loro destino»; e ancora, a nome della Commissione: «pronti a lavorare con i nuovi interlocutori».
Si riapre infine il dialogo tra Mattarella, Salvini e Di Maio, Conte viene richiamato a formare un governo politico penta-leghista con Savona non più all’economia ma agli affari esteri, dopo gli ottantotto giorni della crisi più lunga della Repubblica italiana.