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Dialogo con Massimo Bucchi: satira, Italia, Europa

Dialogo con Massimo Bucchi: satira, Italia, Europa

a cura di Fernando Rizzo Dostoevskij, mentre scriveva, altre idee le disegnava. Come lo scrittore, anche il vignettista, in tempi più ristretti, ha una missione altrettanto virtuosa e ardita: farsi architetto dell’immagine, sposata con l’artigianato della parola. Nel pc di Massimo Bucchi sono archiviate oltre cinquantamila idee, tutte illuminanti come un flash. Nel suo mestiere,

a cura di Fernando Rizzo

Dostoevskij, mentre scriveva, altre idee le disegnava. Come lo scrittore, anche il vignettista, in tempi più ristretti, ha una missione altrettanto virtuosa e ardita: farsi architetto dell’immagine, sposata con l’artigianato della parola. Nel pc di Massimo Bucchi sono archiviate oltre cinquantamila idee, tutte illuminanti come un flash. Nel suo mestiere, che lo segue ovunque, viviseziona le apparenze, per restituirle in associazioni grafiche fra stampe d’epoca, fotografie, dipinti, frammenti letterari, citazioni cinematografiche, ritagli pubblicitari… Ogni materiale è utile. Nei suoi capolavori in miniatura, è un arciere che scocca un titolo secco o un pugile che fa ko con due sole battute, inesorabili montanti. Smaschera giochi di parole con altri, ben più persuasivi. Bastino due titoli di suoi libri con Piero Sciottto: Moriente e uccidente (Bompiani, 1999) e A mare il prossimo (Fausto Lupetti ed, 2014).

Bucchi firma riquadri d’autore che valgono quanto e più d’interi editoriali. L’unico limite che vede nella sua satira sagace, a volte esistenziale, sta dentro i tradizionali otto centimetri quadrati. Dall’Olimpo dei vignettisti italiani, invita alla presa di coscienza, suggerisce persino possibili soluzioni. La sua “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”, come scriveva Italo Calvino. Il suo humour (in bianco e) nero, caustico, è allo stesso tempo riscatto e antidoto all’omologazione del pensiero, da cui la vignetta: Penso, dunque sòlo. Le sue composizioni, sempre sopra il visibile e oltre il detto, sono pionieristiche e hanno il pregio di restare attuali anche a distanza di anni. Epocali, le vignette: “Basta con il razzismo! L’economia è molto più efficace” e “La Storia siamo noi, però l’economia sono loro”. Funzionano tutte talmente bene da poterle tradurre in altre lingue.

  • Un lampo di genio e d’ingegno al giorno per “la Repubblica”, una miniera tempestata da oltre sedicimila lapidarievignette: come si convive con una responsabilità tanto delicata quanto avvincente da ormai più di quarant’anni?

Disegnavo le vignette. Ci ho rinunciato. Le ottenevo con dei collage. Ci ho rinunciato. Utilizzavo pubblicità degli anni venti per i personaggi. Ho smesso. Ho ritagliato silhouette in bianco e nero. Ho detto basta. Adesso ho uno spazio più grande sul giornale, quasi un’illustrazione. Durerà? Senza cambiamenti la situazione è noiosa, ma soprattutto l’immagine deve essere congrua al tempo in cui vive (lei, l’immagine), all’atmosfera, che muta continuamente. Perfino lo stile dei pittori cambia. Se l’immagina quarant’anni a disegnare in sostanza la stessa cosa?

  • Come guarda alla recente tendenza dei media a dedicare uno spazio più ampio alle vignette: è per via dell’avanzare di una comunicazione che si alimenta d’ immagini o perché venga messa a nudo la realtà per quella che è, a dispetto di quello che nessuno o quasi scrive?

Secondo me hanno tardivamente scoperto che non è troppo difficile trasformare la satira in intrattenimento. E sulla Rete attira l’occhio sempre più facilmente un’immagine che un ragionamento.

  • Come riesce ad affondare i fendenti della sua lama affilata, non indulgendo mai alla polemica, a caricature o tormentoni banali, a sterili parodie o invettive e senza andar contro a tutti i costi?

Molti anni fa facevo parecchie caricature anch’io. Neanche così male. Ma i personaggi non durano e, se durano, si consumano come un vecchio timbro. Quindi meglio prospettare i fatti secondo una visione più personale, che può talvolta anche diventare collettiva. L’invettiva non porta a spunti di riflessione, ma solo ad altre e più violente invettive.

  • Ricordiamo tre vignette: “C’è chi si chiede tutti i giorni se la satira è satira, ma si guarda bene dal chiedersi se la politica è politica” – e, mentre una ruota panoramica gira su se stessa: “Dice che la situazione si sta evolvendo”. “Il futuro è solo il presente che s’allunga come un elastico”. Quanto conta uno scenario politico fossilizzato? È un’apocalisse ineluttabile?

Un’apocalisse non arriverà, la Storia si sviluppa felicemente sulle sabbie mobili, che hanno i loro tempi e sanno gestirsi perfettamente. E le vittime sono inconsapevoli, proseguono i loro discorsi anche da sprofondate e quindi ormai invisibili e inaccessibili.

  • Qualcuno definì i confini “cicatrici della Storia”. C’è un suo tweet, più unico che raro: “Si sta studiando il modo che dall’Africa possano emigrare solo le materie prime”. Come valuta la libertà d’espressione in Europa e le produzioni satiriche su temi come (sfruttamento e) migrazioni, accoglienza (e rifiuto), sanità, istruzione, occupazione… a cura dei suoi colleghi di tradizione inglese, francese, tedesca, spagnola? Cosa manca nella satira in Italia e negli altri Paesi del Vecchio Continente?

Twitter. Anni fa ho frequentato Twitter, raggiungendo qualche migliaio di persone che non conoscerò mai. Solo che era diventato il mio primo lavoro, anche in termini di orario e di adrenalina. Ci mettevo battute che rubavo alle vignette che dovevo fare per il giornale. Ho smesso di colpo. Ho scritto che quello che mi scriveva le battute era morto e che ero costretto a lasciare. Arrivarono altri trenta follower. Ah, quanto a produzione satirica e libertà di espressione, in Europa hanno fatto muri meravigliosi, da cui la realtà è tenuta fuori per non preoccupare gli anziani.

  • Avrebbe un consiglio per i molti e per i giovani che, proiettati in questa nuova “casa comune”, non si sentono tuttavia cittadini d’Europa? La percepiscono forse più come imposta da una politica – come da una sua vignetta – “fondata sull’autocertificazione”?

Non so se per “casa comune” si intendano anche i centri di accoglienza. Ma la situazione migliorerà quando verrà capito che niente immigrazione vorrà dire sempre meno pensione. E quando si dovranno trovare volontari per i lavori che nemmeno i robot vorranno più fare.

  • Mano invisibile, tocco universale, viene in mente l’inglese Banksy, re della Street Art: “Non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticano che l’invisibilità è un superpotere”. Di fama oltre oceanica, ha saputo infatti mantenere il riserbo sulla propria identità. I suoi formidabili stencils e murales sono assimilabili alle sue silhouette con i loro micidiali slogan. Qual è la sua opinione sul dilagare di una società autoreferenziale, narcisistica, esibizionista e in preda a un convulsivo “selfie ergo sum”, dove, come da lei stesso fatto osservare, “La gente oggi non si interroga, si esclama”?

Lei mi ha incastrato subdolamente, mi vuole costringere a confessare che anche le mie vignette sono selfie spesso narcisistici, puri palliativi per la mia autoreferenzialità, più che convulsiva, compulsiva?

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