K metro 0 – Intervista di Fabrizio Federici al Ministro Plenipotenziario Enrico Granara, diplomatico di carriera, Coordinatore ministeriale delle iniziative multilaterali euro-mediterranee, rappresentante italiano presso la Conferenza Ambasciatori dell’Unione per il Mediterraneo Ministro Granara, anche a Lei chiedo: oggi, cosa vuol diventare veramente l’Europa dei 28 (anzi, tra breve dei 27, visto il totale “opting
K metro 0 – Intervista di Fabrizio Federici al Ministro Plenipotenziario Enrico Granara, diplomatico di carriera, Coordinatore ministeriale delle iniziative multilaterali euro-mediterranee, rappresentante italiano presso la Conferenza Ambasciatori dell’Unione per il Mediterraneo
Ministro Granara, anche a Lei chiedo: oggi, cosa vuol diventare veramente l’Europa dei 28 (anzi, tra breve dei 27, visto il totale “opting out” del Regno Unito)?
Per capire le prospettive europee, è bene tenere a mente il monito del Presidente della repubblica Sergio Mattarella, il 22 marzo alla Camera, per la cerimonia del 60° anniversario dei Trattati di Roma: “Ineludibile riforma delle istituzioni europee. Nessun Paese europeo può garantire, da solo, l’effettiva indipendenza delle proprie scelte”. In quella circostanza, il Presidente ha voluto ricordare che non esistono alternative ad un’Europa unita. Al tempo stesso ha rilevato l’eccesso di burocratismo nell’approccio dell’Unione europea, fonte di sfiducia e incomprensione nei cittadini in tutta la grande comunità europea; nonché l’esigenza di riformare i Trattati, a partire da quello di Lisbona del 2007. Ciò perché ci si trova di fronte a una loro obiettiva inadeguatezza di fronte alla complessità delle sfide attuali: a partire dai tanti problemi che fanno apparire l’Europa come ripiegata su sé stessa, e incerta ai suoi vertici sulla strada da seguire, in un mondo di giganti, per affrontare i quali cui nessun Paese europeo può farcela da solo. A cominciare da quei Paesi, come il Regno Unito post Brexit, che invece pensano di poter andare per quella strada.
Il messaggio che ci viene dagli interventi del Capo dello Stato è pertanto quello di rilanciare i valori fondanti dell’Europa, gli stessi valori che han garantito, per molti decenni, i suoi straordinari sviluppi economici e sociali, sino a diventare un punto di riferimento anche per i Paesi dei partenariati dell’Est e del Sud.
Come possiamo definire questi valori?
Il primo è il ritorno alla ‘solidarietà’ tra i Paesi componenti. Da qui l’importanza di uno ‘scatto di coraggio’, quella “solidarietà della ragione e il sentimento della giustizia” di cui parlava uno dei fondatori del progetto europeo, Alcide De Gasperi. Il rischio disgregazione è stato, dunque, l’allarme più volte sottolineato nelle parole del Capo dello Stato. Nessun ritorno alle sovranità nazionali potrà garantire ai cittadini europei pace, sicurezza, benessere e prosperità. Mi piace ricordare qui l’adattamento che il presidente Mattarella ha fatto di una celebre frase di Massimo D’Azeglio, figura di primo piano dell’Italia unitaria: “Abbiamo fatto gli europei, ora bisogna fare l’Europa”.
Secondo Lei, cosa può fare oggi l’Europa per recuperare il rapporto col Mediterraneo, da millenni crocevia di scambi economici, culturali, religiosi determinanti per la crescita del mondo, e oggi ridotto, invece (dopo la breve stagione delle “Primavere arabe”), a campo di scontro fra le superpotenze?
La risposta a questa domanda è già contenuta, in parte, nella precedente: e più precisamente, nel monito del nostro Capo dello Stato sulla necessità di rafforzare l’Unione europea di fronte alla magnitudine delle sfide del ventunesimo secolo, a partire da quelle attuali che attraversano la riva sud del Mediterraneo. Si tratta chiaramente d’ un progetto a lungo termine, per il quale si può dire che esistano già le premesse. Come esistono quelli che possiamo definire sinteticamente piani e strumentazioni comuni: come parte di una politica di difesa e sicurezza comune che, però, sinora ha risposto solo a determinati equilibri e criteri intergovernativi, non essendo ancora maturo un approccio sovranazionale, che sarebbe invece più coerente con l’impianto e le finalità dell’Unione europea. Così, ad oggi, agli occhi dei Paesi della riva Sud, l’Unione europea riesce ad essere un partner credibile sul piano delle politiche di cooperazione economica e allo sviluppo – pensiamo ad esempio allo strumento ENI, acronimo di European Neighborhood Instrument – : ma, per i motivi anzidetti, non sufficientemente credibile quando si è chiamati a gettare il peso complessivo dell’Europa sui tavoli dove si cercano di risolvere crisi gravi come quella siriana, o quella posta dai flussi migratori incontrollati.
E allargando il discorso, quale dev’ essere, oggi, il rapporto tra Unione Europea, Unione per il Mediterraneo (l’organismo nato nel 2008, per impulso soprattutto della Francia, comprendente i Paesi UE e altre 15 nazioni vicine al Mediterraneo) e il grande scacchiere dall’ Atlantico al Caucaso?
Dopo oltre quattro anni di esperienza di Unione per il Mediterraneo (UpM), a quanti mostrano scetticismo di fronte ai suoi evidenti limiti, sono solito replicare che se questo Forum euro-mediterraneo non esistesse, bisognerebbe inventarlo. La ragione della sua esistenza, dunque della sua utilità, risiede nella natura transnazionale e trans-frontaliera della maggior parte, se non la quasi totalità, dei problemi che investono i Paesi della grande regione euro-mediterranea. Per affrontarli insieme occorre far funzionare l’unica istanza di consultazione e di co-decisione che i 28 paesi dell’UE sono riusciti a creare coi 10 paesi arabi del Mediterraneo, cui si aggiungono la Turchia, Israele e i Balcani occidentali non ancora membri dell’Unione europea. Per capire a fondo i limiti in cui si muove l’UpM occorre ricordare che essa è nata proprio nel periodo di maggiore crisi economico-finanziaria degli ultimi 60 anni, la crisi scatenatasi nel 2007 in America e propagatasi a livello globale. Non vi è dubbio che i Paesi europei, tutti colpiti dalla più grave crisi economica e finanziaria dal dopoguerra, si siano in qualche modo ripiegati su sé stessi, finendo per delegare alla Commissione europea i rapporti con l’UpM e cioè con l’insieme dei partner del Sud. Una tendenza fatta dunque di deficit politico, che ha portato al prevalere di una sorta di routine nei rapporti coi partners di quello che viene definito il Vicinato Meridionale. A ciò si sono aggiunti i problemi insorti nel frattempo nel Vicinato Orientale, in conseguenza della nuova assertività russa nei confronti dei suoi vicini, dalla Georgia all’Ucraina. Oggi, sulla carta, l’UpM dispone di tutto ciò che è necessario per rilanciare la cooperazione euro-mediterranea: una Road Map (varata a gennaio 2017), una serie di progetti, da quelli infrastrutturali a quelli destinati al potenziamento del capitale umano. Ma per rilanciarla in concreto occorre che da parte di tutti si arrivi alla convinzione di dover investire un capitale politico maggiore di quello speso finora.